Preposto alla sicurezza: nomina davvero corretta?

La nomina del preposto è da sempre punto critico nella gestione della sicurezza sul lavoro. Negli ultimi mesi, un’attenzione particolare è stata dedicata al rischio di “attribuzioni indebite” di questa funzione: bastano davvero pochi mesi di esperienza oppure un contratto di apprendistato per giustificare la scelta? La nota congiunta INL – Conferenza delle Regioni chiarisce diversi dubbi in merito, indicando criteri e responsabilità concrete per imprese e datori di lavoro. 

Chi è il preposto e perché è centrale per la sicurezza 

Il preposto è la figura, individuata dall’articolo 2 del D.Lgs. 81/2008, che “sovrintende” sull’attività dei colleghi, facendo applicare le direttive e verificando che le procedure di sicurezza vengano rispettate ogni giorno. Oltre alla supervisione, ha il compito di intervenire quando emergono comportamenti o situazioni a rischio, diventando così un elemento essenziale nella prevenzione degli infortuni. 

Le sue responsabilità sono state rafforzate dalle ultime modifiche normative: dal D.Lgs. 146/2021 alla recente giurisprudenza, passando per l’obbligo di formazione mirata sancito dall’Accordo Stato-Regioni (n.142/2022). 

Requisiti veri: conta la competenza, non solo l’esperienza 

La recente nota INL-Conferenza Regioni chiarisce un aspetto spesso controverso: la legge non impone limiti minimi di anzianità per la nomina del preposto e nessuna incompatibilità per apprendisti o lavoratori con contratti a termine. L’unica condizione valida è che chi viene scelto sia davvero in grado di vigilare, intervenire e assumersi la responsabilità operativa richiesta dal ruolo. 

Quindi, il criterio non può essere solo l’anzianità di servizio o la tipologia contrattuale: serve una valutazione attenta di competenze e formazione, verificando che il futuro preposto sia all’altezza della funzione in termini di conoscenza dei rischi, autorevolezza e capacità comunicativa. 

Attenzione alle scelte solo “formali”: quali responsabilità? 

Nomine “di facciata”, fatte solo per comodità organizzativa o necessità numeriche, rischiano di lasciare scoperti sia i lavoratori sia il datore di lavoro. La responsabilità di eventuali omissioni o incidenti causati da una sorveglianza assente (o inadeguata) ricade non solo sul preposto poco preparato, ma anche sull’azienda stessa. 

Il datore di lavoro è infatti obbligato dalla legge (art. 18 e 19 del D.Lgs. 81/2008) a: 

  • Motivare le sue scelte e documentare la formazione del preposto; 
  • Valutare capacità reali e attitudine a gestire il gruppo; 
  • Aggiornare periodicamente la formazione e monitorare l’efficacia della vigilanza esercitata. 

Il peso della formazione 

La formazione “specifica e aggiornata” rappresenta la vera garanzia, sia per chi assume il ruolo sia per la tutela collettiva. Senza questa, anche il candidato più esperto rischia di non poter esercitare efficacemente la funzione: per questo la legge impone corsi dedicati (art. 37, D.Lgs. 81/08) e controlli costanti sull’idoneità dei preposti. 

Conclusioni 

La chiave per evitare attribuzioni indebite e garantire sicurezza reale nelle organizzazioni è la consapevolezza della scelta, non la semplice formalità. Le aziende devono valutare a fondo competenze, motivazioni e formazione dei preposti, documentando il processo in modo trasparente. 

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